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Martedì, 26 Maggio 2020 10:50

A casa di Padre Filippo

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A casa di Padre Filippo Foto Campitelli

Nella primavera del 1583 la congregazione fondata a Lucca da san Giovanni Leonardi nel 1574 è così fiorente che ritiene opportuno indire il suo primo capitolo generale. Intanto il chierico Giulio Franciotti cade gravemente malato. Padre Giovanni, certo di ottenerne la guarigione, organizza un ristretto pellegrinaggio presso la Santa Casa di Loreto e porta con sé l’infermo e altri tre confratelli. È il 1 maggio del 1584 quando i cinque si mettono in viaggio. Adempiuto il voto, i pellegrini decidono di deviare verso Roma prima di far ritorno in patria. Raggiungono l’Urbe a novembre e per diciassette giorni trovano genuina ospitalità presso padre Filippo Neri. È la prima volta che i due santi si incontrano di persona. Le notizie trasversalmente ricevute l’uno dell’altro da parte del comune amico fra Paolino Bernardini dell’Ordine domanicano di San Romano a Lucca. Finalmente si materializzano nei loro volti. L’esperienza religiosa di padre Giovanni a Lucca, infatti, già ricalca non poco quella romana dell’oratorio, descritta chissà quante volte e con quale entusiasmo al Leonardi proprio dal Bernardini. Padre Giovanni intravede immediatamente nell’oratorio filippino un vero cenacolo di grazia, al punto tale da definirlo come «il fonte e l’origine dello Spirito in Italia, e seminario di tanti huomini segnalati in santità e perfezione di vita». Del resto l’intuizione di padre Filippo è il perfezionamento di un’iniziativa avveniristica intrapresa in San Girolamo della Carità ancor prima del suo arrivo e di cui lo stesso Neri, non ancora sacerdote e in piena ricerca vocazionale, si era innamorato. La svolta nella comprensione del progetto di Dio su di sé era infatti giunta proprio da San Girolamo della Carità. La chiesa confraternale era retta da una piccola comunità di preti secolari, uniti dalla volontà di condurre vita comune, e l’ideale abbracciato da quei santi sacerdoti aveva infervorato Filippo, così come la loro solerzia nella cura d’anime e la profonda intesa fraterna, pur nella diversità dei caratteri e dei carismi. Era all’incirca il 1547 quando il Neri vi si era avvicinato. Aveva conosciuto fra gli altri e si era legato di particolare amicizia con Persiano Rosa, un gioviale ciociaro che - sicuramente per le numerose affinità d’indole - Filippo avrebbe scelto come confessore. Era entrato pure in relazione con Francesco Marsuppini da Arezzo, che lo avrebbe seguito spiritualmente dopo la morte del Rosa. Proprio Filippo aveva introdotto nel cenacolo girolamino il neoconvertito Buonsignore Cacciaguerra, ancora laico, che ormai prete era divenuto un convinto assertore - cosa non comune a quei tempi - della comunione quotidiana per i fedeli e della celebrazione giornaliera della Santa Messa per i presbiteri. Il dissenso di san Filippo verso programmi apostolici troppo sofisticati emerge da un simpatico aneddoto, riguardante il Leonardi. Spontaneo nel lodare, padre Filippo è altrettanto immediato nel correggere, se è il caso col suo tipico humour fiorentino. Così, quasi a voler contenere l’irruenza evangelizzatrice di padre Giovanni e un suo eventuale eccesso di zelo (Filippo è per natura contrario a qualsiasi fondamentalismo!), improvvisamente lo stanga: «Iddio non vuol far tutto a tempo vostro!». È il cristiano relativismo di san Filippo Neri, stratagemma pedagogico per riportare le anime all’essenzialità della fede in Cristo, unico Salvatore del mondo, e per tenere lontana ogni forma di autocompiacimento spirituale. Fatto ritorno a Lucca, padre Giovanni è nuovamente messo alla prova dai suoi nemici e la congregazione affronta ulteriori difficoltà riguardanti in particolar modo Corteorlandini. Così nel 1587, cercando una soluzione a quei problemi, il Leonardi si vede costretto a recarsi ancora una volta Roma. È solo l’inizio di un esilio che durerà cinque lunghi anni. Nell’Urbe è accolto dal sanremese fra Alessandro de’ Bernardi, rettore di San Biagio alla Pace. Intanto a Lucca i pochi suoi amici sono sottoposti a vessazioni e angherie da parte della locale repubblica. Perfino quattro senatori sono esiliati, rei soltanto di aver appoggiato padre Giovanni nella causa contro l’ospedale, per l’assegnazione ai leonardini di un patronato in Corteorlandini. La notizia della loro condanna giunge fino a Roma e, almeno stavolta, il santo lucchese mette in campo le influenti amicizie guadagnategli ormai da qualche anno dal Neri. Anzi è lo stesso padre Filippo a mediare presso il terribile Sisto V, il quale affida l’inchiesta al cardinale Castrucci - protettore della repubblica di Lucca - ottenendo in breve tempo la revoca del provvedimento. Padre Giovanni, ormai avvilito dalle continue umiliazioni subite e amareggiato per la politica di ostracismo riservatagli dalla sua patria, intende fare chiarezza sulla propria persona una volta per tutte. Indirizza così a papa Peretti un memoriale nel quale espone la sua situazione, chiedendo che si inquisisca sul proprio operato e appellandosi all’ultimo giudizio del pontefice, sia esso di assoluzione come di condanna. La Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari avvia l’istruttoria e presto sono riconosciute l’assoluta innocenza e la singolare rettitudine del Leonardi. Le favorevoli testimonianze di Filippo Neri e Cesare Baronio hanno finalmente spazzato via ogni nuvola dal suo cielo. Intanto - ormai da tempo e grazie alle affettuose credenziali che il Neri e il Baronio non cessano di diffondere sul suo conto - il Leonardi gode di profonda stima a Roma, tanto negli ambienti di curia, quanto presso le istituzioni religiose e il popolo cristiano. Solo per citare una situazione concreta di gran prestigio spirituale, padre Filippo lo ha introdotto nel monastero di Tor de’ Specchi - istituito un secolo e mezzo prima da santa Francesca Romana - e le oblate lo hanno scelto quale predicatore e confessore. È il 1589 quando, «per alleggerire il fastidio dato fino allora a p. Alessandro da S. Remo», padre Giovanni e i suoi si spostano nella canonica di San Girolamo della Carità, probabilmente su invito e per interessamento dello stesso san Filippo. Ecco il contesto in cui si colloca la notizia - spesso riportata nelle fonti leonardine - per cui padre Giovanni avrebbe ricevuto dal Neri la chiave della sua stanza in San Girolamo, segno di straordinaria predilezione e indiscussa amicizia. In quei frangenti, forse per rispetto nei confronti di un così grande benefattore, il Leonardi rifiuterà le lusinghiere proposte di acquisizione di San Girolamo prima e di San Giovanni dei Fiorentini poi. Se dunque a Giovanni Leonardi rimarrà la chiave della stanza di san Filippo Neri, soprattutto gli rimarranno indelebilmente impressi nel cuore il suo carisma, le sue intuizioni pastorali, il suo anelito al rinnovamento intraecclesiale e lo stile genuinamente apostolico. Ecco perché, guardando al santo lucchese, molti contemporanei lo definiranno «un altro s. Filippo Neri».

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