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Martedì, 16 Giugno 2020 07:29

Di pandemie e vecchi sermoni. La ricetta di un Santo per affrontare le epidemie

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Di pandemie e vecchi sermoni. La ricetta di un Santo per affrontare le epidemie Foto Campitelli

di Massimo Cardilli

Le vicende legate alla pandemia dovuta al Coronavirus ci hanno costretti a rivedere i  parametri riguardanti la nostra vita personale e sociale. Molti di noi in questo tempo segnato dal pericolo nascosto, eppure così pervicace, siamo andati alla ricerca delle cause, del chi ha la colpa, di ogni possibile interpretazione ci tornasse utile per capire ciò che stava succedendo. Abbiamo, così, scandagliato la storia presente, senza tralasciare uno sguardo al passato. A chi aveva già affrontato situazioni come questa.

Non sarà un caso che sulle biblioteche digitali che ci hanno fatto compagnia in questo periodo di chiusura siano stati cercati titoli come “Spillover” di D. Quammer, ma anche classici come “La Peste” di A. Camus. Che sulle piattaforme online sia stato proposto un film del 2011, Contagion, che parla di un virus che si diffonde da goccioline respiratorie: quasi una premonizione. E chi ha ricordi scolastici e letterari sicuramente avrà pensato alla peste di manzoniana memoria.

In questo frangente mi è capitato di leggere un testo davvero particolare. Il sermone di un Santo vissuto in epoca molto distante dalla nostra, che però si trovò a far fronte ad un pericolo simile al nostro, ovvero la peste diffusasi nell’Italia settentrionale negli anni 1575-76, in particolare nel Veneto e nella città di Padova. Il testo del sermone è conservato a Roma nell’Archivio storico dell’Ordine della Madre di Dio che fu fondato da San Giovanni Leonardi, autore di questa omelia. Tutta la collezione dei sermoni di questo Santo fondatore è stata recensita da  V. Pascucci[1]. E il testo nella collezione è il numero 39 intitolato: Sermone sopra la peste di Padova nella domenica quindicesima dopo Pentecoste.

La città di Padova e il suo territorio furono duramente colpiti dal morbo. Entro il 1577 il numero dei decessi nel solo capoluogo aveva raggiunto le 12.388 unità su una popolazione che, al 1571, ammontava a circa 36.000 abitanti[2].

San Giovanni Leonardi scrive questo suo sermone nel 1580, il che vuol dire che la memoria di eventi così gravi doveva essere ancora viva. Prende, perciò, spunto da una situazione così dura venutasi a creare in città e campagne non così lontane da Lucca, ove risiedeva. per trarne un ammonimento, ma anche per evidenziare alcune piste di riflessione sia di carattere etico che squisitamente religioso.

Innanzitutto noterei il senso di grande pena provato dal Leonardi di fronte ai lutti così numerosi provocati dal contagio che dilaniava comunità e famiglie. Sembra quasi di rivedere, cambiando tempi e modi, le medesime scene che abbiamo vissuto nei periodi più difficili della pandemia ai giorni nostri.

Che tanti n’è morti il giorno che sei carette non bastasseno andando a torno per’ seppellire et che più li cimiteri non li potevano capere; né v’era a bastanza beccamorti. Hoimè! Che spettacolo doveva essere il vedere quelle spaventevoli processioni di carette piene di morti andar per la città. Oh che orrore dovea essere il veder’ che il padre portava il figliolo, o il figlio il padre, o il fratello il fratello a seppellire. Oh! Che cruccio doveva esser’ il sentir’ or questo et or quello dir’: venite per il mio figlio, venite per il mio fratello, venite per la mia moglie. Qual quor’ non scoppia l’udire il caso di quel misero padre che, portata la figlia a seppellire, non poteva dieci passi andare per il ghiado; e che, apena tornato in casa, per il dolore, appoggiato, se ne muore”.

Quando nel giugno 1575, la peste arrivò a Venezia, Padova iniziò a preoccuparsi. Il 3 gennaio 1576 il consiglio comunale nominò cinque Provveditori alla sanità, inviò anche gli ‘esploratori della peste’ a Verona, Venezia, Brescia e Mantova. Padova fissò un periodo di isolamento anche per chi arrivasse in città con la fede di sanità, quindi in buona salute. Siamo ad aprile 1576 e un facchino, venuto da Venezia, eluse i controlli e andò a risiedere in via Porciglia dove morì dopo tre giorni. In quel momento iniziò l’epidemia a Padova, infatti nella stessa dimora morirono altre donne poco dopo.[3]

A quel tempo quelle che noi oggi abbiamo chiamato autocertificazioni, predisposte dal nostro governo per la pandemia, portavano il nome di “bollette di sanità” ed esistevano sicuramente misure di prevenzione, delimitazioni e controlli per evitare i contagi. Eppure qualcuno, allora come adesso, per svariati motivi, poteva evitarli. San Giovanni, nel suo sermone, solleva il caso morale di coloro che, attraverso la corruzione, evitavano i controlli utilizzando documenti contraffatti e cosi favorivano il diffondersi della malattia.

“Perché vi so dire che siamo a tempi che li denari fano fare ogni cosa, e corrompono le guardie e l’offitiali e tutti, onde si fano bullette che far non si doveriano. Et in exempio di ciò io alcuni anni sono, parlai a una persona che era passato per anche per luochi appestati e poi con denari e con presenti corruppe l’offitiali et ottenne la bulletta della sanità. Buoni sono l’offitiali, e si devono fare. Ma vi so dire che, pecuniae obedienti, omnia. Et quando mai si trovasse alcuno fraudolente, non si li haveria, doppo denari, né per misericordia, lassarsi venire; sì come havenne alli padovani di questa sorte che, per non casticarlo, recorno tanto danno alla città. Così haverrà altrove. Et se bene vi sono fatte provigioni di medicine, non di meno Dio fa che quelle non operano, né giovano, come havenne in Padova. Oh malignità grande di questo male! Poi che né rimedij non valeranno, ma le morti presto altre prove a tutti causeranno”.

 

Di fronte a mali così forti non possono farsi valere né denari, né misericordia per scavalcare le protezioni o il distanziamento che hanno permesso di arginare le epidemie.

Giovanni Leonardi prima di diventare sacerdote e svolgere un ruolo da protagonista nel clima di rinnovamento della Chiesa del suo tempo fu un farmacista. Nell’omelia non traspare granché della sua antica professione, forse un’unica annotazione iniziale: “in questo tempo poi che nelli giorni passati vedemmo esser’ l’aria tutta turbata e piena di tristi vapori, onde si cagionano tante infermità”. Ciononostante si nota, proprio nella cura verso le disposizioni pubbliche, qualcosa della sua formazione[4].

Ma essendo questo un contesto diverso, emerge soprattutto l’animo del sacerdote che ha cura delle anime a cui si rivolge. Il suo discorso si fa squisitamente spirituale.  E sottolineerei due binari entro i quali si svolge il suo discorso: l’urgenza della conversione e la preghiera.

Sulla scia del vero spirito evangelico San Giovanni non si sofferma sulle colpe degli uomini, ma legge gli avvenimenti come appello a un cambiamento di mentalità e di opere. La conversione prima che un ritorno a Dio è far riferimento a sé stessi, nel pieno rispetto della teologia dell’incarnazione. Il figliol prodigo della parabola, Zaccheo o lo stesso San Pietro rientrarono in sé stessi prima di cambiare vita. Tutto ciò è in armonia con la moderna psicologia che ci invita, di fronte agli avvenimenti soprattutto dolorosi, come può essere una epidemia, a domandarci cosa essi muovono in noi al fine di raggiungere un nuovo livello di consapevolezza. In queste parole di Giovanni Leonardi risuona l’invito di Gesù a decidersi per il Regno di Dio, cambiando vita. Guardate quante volte, in questo passaggio del sermone ricorre il termine: Ora.

Dimmi poi, deh! Se ti toccasse trovarti in così tal termini, che non saria il terror’? Deh, perché non puole essere? E se puole esser’, deh, perché non ti assicuri con hora a Dio convertirti, a Dio tornare? Et hora con impegno dire: hora non opererò insieme al demonio. Hora lassa ogni opera sua, staccati dalli amici, hora dalle robbe”.

 

Staccarsi dalle “robbe” come l’invito di Gesù al giovane ricco del Vangelo (Marco 10,17-27) o anche fare in fretta, approfittare del momento presente che interpella e far bene i calcoli: Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà (Matteo 24, 42).

 

Con termini simili di chi, evidentemente, ha dimestichezza con la parola evangelica si esprime Leonardi: “Non sapete che più facilmente si rimedia al nemico lontano, che da presso? Deh! Se, vedendo il fuoco nel altrui casa si porta l’aqua a casa sua, perché, perché vedendo tanto fuoco per tutta l’Italia e fuor’ d’Italia noi a noi stessi non provediamo?”.

 

Come provvedere? San Giovanni dice: attraverso la preghiera. Il sermone si apre con la notizia dell’adorazione eucaristica continuata fino a quaranta ore. Una pratica a cui il santo teneva particolarmente. Il suo pregare sorge dalla fiducia. Ancora un riferimento biblico: “ Prima che mi invochino, io risponderò” (Isaia 65,24).

 

“Nel che, dico, si ci è venuto mostro la verità delle parole sue che, per Isaia, disse: Antequam clament, ego exaudiam eos [Is. 65, 24]. Perché non ancora si sono fatte le orationi et siè visto che Dio ci ha esauditi con far venir quella pioggia, qual par’ che habbia purgato e rasserenato il tutto, onde si vede il sol più chiaro, l’aria più limpida et le cose più restaurate”.

Ma la preghiera prolungata è anche quella che si affranca dalla richiesta immediata o sporadica, quella che ci permette di cercare il silenzio. Poiché Dio parla nel silenzio, con “voce di silenzio sottile” (1 Re 19,12-13). Ecco perché occorre educarsi alla preghiera e non ricorrervi solo per necessità impellenti.

San Giovanni afferma: “Non doviamo però restare (restare, arrestarsi: ovvero pregare senza stancarsi come detto nel Vangelo, n.d.r.) dalle orationi, anzi con maggior affetto frequentarle perché forse ne haverrà che, fatte con efficacia, ne verrà Dio placato, o che si ritarderà, o che serà minore, o che ci renderemo più atti a riceverlo e, morendo, si verrà, lassando il peccato, a morire in gratia di Sua Divina Maestà. Però non si resti da orationi e queste con efficacia si faccino”.

In questo vecchio testo sepolto in un archivio abbiamo così rintracciato una testimonianza. Una testimonianza di fede di fronte ad un’epidemia. Così anche noi ci siamo trovati davanti ad un male che si diffondeva e abbiamo cercato in esso significati, cause ed espresso domande, alcune delle quali permangono senza risposta.

San Giovanni Leonardi aveva dalla sua la chiarezza della fede e l’interpretazione del male ne è stata conseguente. Ha espresso compassione verso le persone in lutto. Ha preso spunto da questa situazione per rivolgere un appello ai suoi fedeli e ai suoi religiosi, ancor prima che il male arrivi in città. Essere pronti, cogliere adesso il momento per convertirsi a Dio e la preghiera. Noi moderni forse noteremmo che manca del tutto l’aspetto della solidarietà, della carità fattiva secondo il Vangelo, verso gli ammalati e il prossimo.

Ma questo è un altro capitolo. Forse la carità di San Giovanni sta proprio in questo. Aiutare i suoi ascoltatori a leggere bene gli eventi e interpretarli non con la paura, ma con la fede. Il resto seguirà.

 

[1]  Pascucci V. (a cura di), S. Giovanni Leonardi, Sermoni, Lucca,

[2]   Archivio di stato di Padova: https://bit.ly/3fo6Eey

[3] Marzocca V., La peste a Padova nel 1575-1976: cause e meccanismi di diffusione dell’epidemia, Padova 2018.

[4]   Di un esame dettagliato dei sintomi del morbo della peste, paragonata al peccato spirituale, e dei rimedi per guarire da essa il Leonardi ne parla in un’altra predica (c. 219). Qui salta agli occhi la formazione farmacistica del Santo, ma richiederebbe una trattazione a parte.

Letto 1514 volte Ultima modifica il Martedì, 16 Giugno 2020 09:45