Due ritardi non fanno un appuntamento mi disse un amico dopo aver atteso invano un incontro. Nel nostro caso: il ritardo dell’uomo per la sua conversione e il ritardo di Dio per la sua pazienza, sono un appuntamento irrinunciabile. E’ la cifra dell’Avvento, tempo di ritardi che s’incontrano, stagione di nuovi inizi, sguardo innalzato sull’oltre e sull’altro. La Chiesa non può fare meno dell’Avvento, che si propone nel giro degli anni, come punto nodale e svolta del desiderio umano. La nostra contemporaneità complessa e figlia dell’immediato, mal digerisce le lunghe attese. Basti pensare alle interminabili soste alle fermate dei servizi pubblici; o la clessidra, simbolo di un tempo virtuale, scandito dalle pagine di computer che non si aprono; o le infinite attese di una visita medica. Il “cantiere dell’Avvento”, porta spalancata sul Mistero di Dio e dell’uomo, offre la medicina spirituale all’inesauribile desiderio del cuore e alle impazienti attese. L’Avvento guarisce il tempo dalla sua monotonia, lo orienta, attraverso il ritmo della Parola di Dio che invita a levare lo sguardo e a riconoscere la nostra libertà . L’Avvento genera la presenza divina nel mondo, annuncia all’uomo segnato dall’ingiustizia, dal sopruso e alla violenza: “Io sono la tua salvezza, la tua giustizia”. Le prime comunità cristiane avevano percezione di un tempo destinato a finire, ma con la consapevolezza di una promessa: “Io tornerò”. Tanto che, il nome benedetto di Gesù, manifestazione nella carne della vicinanza di Dio, fu da subito compreso come “Il Veniente”. Se la signoria del tempo appartiene a me, sentirò lo spessore delle cose che passano, dei significati che si rimpiccioliscono, di ciò che appesantisce il cuore. Avrò sensazione che la mia vita è una serie di “stagioni” che iniziano e terminano. Tutto sarà riassunto nel giorno del Figlio dell’uomo. Le nostre agende segnate di calendari che si affidano al movimento degli astri, finiranno con loro. Neanche il cielo trapuntato di stelle è sicuro. Fu garanzia ad Abramo che vide in esso la sua discendenza, ma ora Gesù chiede di andare oltre, di attenderlo di là dalle cose che vediamo e che fissano la sicurezza dei nostri giorni. Questa speranza, di cui si veste il tempo santo dell’Avvento, anima le attese dei nostri tempi difficili. Attende l’umanità gravata dalle guerre, dalle discriminazioni sociali, dalle indifferenze: tempi di pace e di solidarietà che non siano figli di vuoti compromessi. Attendono le famiglie della nostra Città, non solo risposte per l’immediato, ma per il futuro delle giovani generazioni. Attendono le periferie esistenziali dei nostri quartieri: anziani, giovani, uomini e donne segnati dalla fatica della quotidianità e spesso paralizzati da ritmi insostenibili. Attende il lavoratore, un giusto salario e il disoccupato, il lavoro. Attendono gli oltre duemila detenuti delle carceri romane un futuro di redenzione. Attendiamo dagli uomini e dalle donne della politica scelte responsabili per il bene comune. Attende la Chiesa di Roma con il suo vescovo Papa Francesco, scelte coraggiose di comunione, missione e corresponsabilità da parte dei fedeli e dei pastori. Sono le attese del cammino sinodale che traccia per tutta la Chiesa, l’unica strada percorribile: il Vangelo della speranza raccontato con la vita. Mentre queste cose accadono, e sono il tesoro dei nostri giorni fugaci, i discepoli di Gesù liberano lo sguardo del cuore, sanno di essere attesi, incontrati, amati. Uno sguardo liberato e liberante fa appello non solo alle proprie forze, ma alla potenza e gloria di colui che si fa vicino a ogni uomo. Mentre tentiamo di addomesticare la vita; la vigilanza e la preghiera, strumenti indispensabili nel “cantiere dell’Avvento”, allargano i nostri orizzonti, ci preparano a ospitare Dio nell’umano, dove egli ama abitare.
P. Davide Carbonaro (Editoriale Roma Sette 27-11-2022)