Il dito puntato che non giudica ma indica. Eccola, la luce che viene nel mondo: silenziosa, umile non incendia, ma riscalda, non acceca, ma apre strade. Parole di luce quelle del Battista che non parlano di sé ma di un Altro. Questa è la radice di ogni profezia, di ogni parola che dice di Dio, che racconta della sua amabilità sull’uomo, senza sostituirsi ne prenderne il posto. Nella terra arida gli uomini del potere, quelli che frequentano i palazzi dell’arroganza, chiedono all’asciutto uomo del deserto di rivelare la sua identità, di dire se nei suo fragili tratti e nella potente sua voce, si nasconde il Veniente, l’Atteso. Quell’ambasceria è inviata per sottomettere la profezia e disarmare la speranza. Giovanni venne come uomo in mezzo ad una umanità inquieta, tuttavia desiderosa come la sabbia che domanda di essere abbeverata dall’acqua e non estingue la sua sete. Egli venne per “dare testimonianza alla luce”. Li lascia senza parole i collusi con l’umano potere. Lusingano il Battista, assomigliandolo ai grandi amici di Dio, suoi portavoce nella storia della salvezza. Ma il frequentatore del deserto, memore degli intrighi della sacra corte, smaschera quel crescendo di seduzione. Si riconosce per quel che è, e per quello per cui Dio lo chiama: “Io sono voce che grida nel deserto”. Nulla più che una voce sempre a rischio di affievolirsi e di passare inosservata. “Io non sono” risponde Giovanni. Certo, perché un altro mi fa essere, egli che è insostituibile. Questo lo aveva compreso il rude profeta del deserto, erede della lunga storia di chi nella terra della schiavitù e dell’erranza aveva ricevuto il nudo nome di Dio: “Io sono colui che sono”. Io non sono Dio. Giovanni si scherma davanti alla primordiale tentazione che tornerà a più riprese per inquinare il cuore umano. Sant’Agostino commenta: “Giovanni Battista era una voce, ma in principio il Signore era il Verbo. Giovanni fu una voce per un certo tempo, ma Cristo, che in principio era il Verbo, è il Verbo per l’eternità” (Serm. 293). Il battezzatore ci insegna come dire di noi, come attendere il Signore dentro la fragilità dell’umano e del tempo. Non è necessario sentirsi dire cosa sei dagli altri, è fondamentale sentirselo dire da Dio. E’ dunque una carriera rovesciata quella del profeta e del discepolo che si ispira alle parole di Gesù “gli ultimi saranno i primi”. Avvento è fare posto ad un altro; è diminuire perché Dio cresca in me e nel prossimo; è chiedere un cuore che sottrae potere all’inganno mentre si nutre della Verità che illumina tutto l’uomo.
Davide Carbonaro